13.10.17

12 Ottobre1492


“Questa non è la mia patria, la mia patria è la classe lavoratrice, la mia patria è quella di un popolo che è molto al di sopra dei loro governanti, un popolo ancora addormentato che deve svegliarsi”

12 ottobre 1492 - Qusto giorno fu l'inizio del genocidio dei popoli che vi abitavano ancor prima di essere “scoperti”. Da quel giorno gli "scopritori" li omaggiarono della parola di Dio con il sangue e con il fuoco, iniziarono il saccheggio delle ricchezze naturali che permisero alla corona spagnola di continuare a finanziare le sue guerre. Da quel giorno la chiesa cattolica cominciò la sua crociata contro gli infedeli attraverso torture, mutilazioni, stupri. Quel giorno gli scopritori iniziarono la distruzione delle culture antiche esistenti nelle Americhe, migliaia di anni di storia di queste civiltà cancellati, un intero patrimonio di valore inestimabile bruciato nel nome di Dio e della Spagna.

d.f.

20.1.15

21/01/1921

 
Dal convegno nazionale di Imola ebbe conferma il Comitato di frazione nominato a Milano. Per me continuava dunque il lavoro organizzativo in tandem con Bordiga impegnato nella propaganda e nella direzione del periodico della frazione. La sede rimaneva a Imola.
Non erano cessate le discussioni e le diatribe nel P.S.I. anche dopo il fallimento di manovre di vari gruppi componenti il grosso del Partito stesso. Serrati non rinunciava a una ormai impossibile tendenza "verso" l'Internazionale e ai suoi acrobatismi intorno ai 21 punti di Mosca si associavano con sfumature polemiche socialisti lazzariani e riformisti. Se fra i "tiepidi" della frazione (Tasca e altri torinesi, non escluso Gramsci) c'era chi non rinunciava a sperare in una certa mollezza verso i serratiani (speranza incoraggiata dietro le quinte dagli strani emissari forse abusivi di Mosca, Rakosi per esempio) precisa ed inoppugnabile era la risposta della nostra frazione. Tra Bordiga, dopo la spontenea rinuncia all'astensionismo, e il gruppo milanese condotto da me e Repossi, la posizione era stabilita: qualunque voto uscisse dal Congresso Nazionale di Livorno, sarebbe nato il Partito Comunista d'Italia.
Livorno, teatro Goldoni, 15-21 gennaio 1921, Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano. E' un avvenimento drammatico per migliaia e migliaia di compagni. Giovani, meno giovani, anziani, vecchi nessuno assisteva indifferente o strafottente a uno scontro atteso, inevitabile, profondo, traumatico. Mi sentivo commosso, intimamente turbato prevedendo la conclusione, sebbene fermo e assolutamente convinto. Al P.S.I. mi ero affiliato ancora giovane seguendo mio padre. Affetti, entusiasmo, attività fervida e disinteressata, sacrifici, sofferenze. Ma ora dovevo avanzare senza rimpianti, senza incertezza. Quando la lunga dura discussione ebbe termine e la votazione delle mozioni segnò, come previsto, una consistente minoranza per la nostra frazione, e Bordiga ci invitò a lasciare il teatro Goldoni per recarci al teatro San Marco, a dar vita al Partito Comunista, io mi unii ai compagni cantando l'inno dell'Internazionale. Portavo con me gli elenchi degli aderenti che avevo raccolto nel mio palchetto del teatro Goldoni, sede delle ultime operazioni organizzative della nostra frazione.
Una topaia il teatro San Marco. Inagibile da molti anni era stao abbondanato alla polvere e alle ragnatele. Con l'aiuto dei compagni livornesi la vecchia sala si era un pò rinfrescata. In due riunioni sbrigative e brillanti si svolse il Congresso costitutivo del Partito Comunista d'Italia. Il compagno Bordiga volle che leggessi io, a nome del Comitato di frazione, il programma del Partito in dieci punti. Seguì la nomina del Comitato Centrale e del Comitato Esecutivo. Questo venne eletto nelle persone di Bordiga, Grieco, Terracini, Repossi e mia. Tornavo a casa mia, perché la sede era stabilita a Milano.
                                                                            
                                                                                    Bruno Fortichiari, Memorie

Solidarietà ai compagni del CSA Dordoni

 
Domenica scorsa a Cremona una sessantina di fascisti organizzati da Casa Pound e provenienti da diverse città, tra cui Parma e Brescia, approfittando di una partita di calcio hanno assaltato con spranghe e cinghie il centro sociale Dordoni, difeso dai pochi compagni presenti al momento, che con coraggio e determinazione sono riusciti a difendere il proprio spazio di autorganizzazione.
Nell’aggressione pianificata Emilio, un compagno del Dordoni è stato colpito alla testa e selvaggiamente pestato, anche quando già a terra, subendo trauma cranico ed emorragia cerebrale, e ancora ieri si trovava in stato di coma.
Mentre scriviamo ci risulta che le condizioni di Emilio per quanto gravi si siano stabilizzate, pur non essendo fuori pericolo: l’ematoma cerebrale non si è ulteriormente esteso e un versamento di sangue nei polmoni è stato drenato; rimane il rischio della perdita di un occhio.
Di fronte a questa brutale aggressione fascista la polizia non ha saputo che identificare gli squadristi e caricare i compagni solidali sopraggiunti che stavano rispondendo agli aggressori, mentre la stampa borghese ha presentato l’aggressione come uno scontro tra opposte tifoserie o opposti estremismi.
Come Comunisti per l’Organizzazione di Classe – COC esprimiamo tutta la nostra solidarietà al compagno Emilio, e ai compagni del Dordoni, in prima fila in tante lotte sociali dalla parte dei proletari italiani e immigrati, uniti nelle lotte degli operai della logistica come in quelle per la casa, ribaltando nella pratica quella divisione nazionalistica su cui i fascisti fanno leva per spezzare il fronte proletario.
I neofascisti mascherano con una fraseologia populista la loro vera natura antioperaia, e si candidano a replicare il ruolo già svolto storicamente dal fascismo, di stroncare con la violenza il movimento operaio, colpendo le sue avanguardie. I tempi sono diversi rispetto agli anni Venti in cui tutta la grande e media borghesia finanziò e mandò avanti i fascisti per schiacciare un movimento operaio che per mancanza di direzione rivoluzionaria aveva mancato la presa del potere. Oggi la borghesia schiaccia un movimento operaio con il Jobs Act e gli altri provvedimenti del governo Renzi, che espongono i lavoratori al ricatto permanente del licenziamento e rendono più difficile l’autorganizzazione dei lavoratori. È nell’opposizione proletaria al governo Renzi che si deve rafforzare un fronte proletario capace di schiacciare sul nascere ogni rigurgito fascista.

fonte: Combat-coc.org

6.1.15

Il fior fiore dei parassiti

Il numero di questi individui cresce continuamente, tanto da arrivare a formare un’intera classe: la classe dei rentiers. Questo strato della borghesia, benché non costituisca una classe sociale nel senso specifico della parola, ma piuttosto un gruppo con proprie caratteristiche all’interno della borghesia capitalistica, possiede tuttavia alcuni elementi peculiari che lo contraddistinguono e che derivano dalla sua “psicologia sociale”.
Lo sviluppo delle società per azioni e delle banche, l’influenza crescente della borsa, allargano questo strato sociale e nello stesso tempo lo rafforzano. La sua attività economica si esercita principalmente al livello della circolazione, soprattutto di titoli e valori, nelle transazioni di borsa.
È significativo il fatto che all’interno di questo strato sociale, che vive di ciò che questi valori rendono, esistano tuttavia diverse sfumature; il caso limite è rappresentato da quegli elementi che si trovano fuori non solo della produzione, ma anche dallo stesso processo di circolazione.
Sono anzitutto i possessori di valori a interesse fisso: titoli di Stato, obbligazioni di vario genere, ecc.; in secondo luogo quanti hanno investito la loro fortuna in beni fondiari, dai quali ricavano rendite sicure e durevoli.
                                                 
                                                N.Bukharin, “L’economia politica del rentier”, 1914

Jobs Act: la beffa di Natale

Con la chiusura del 2014, alla Camera sono stati approvati i primi due decreti attuativi del Jobs Act.
Sotto forma di regalo di Natale, un regalo certamente gradito per gli sfruttatori, ma una beffa per gli sfruttati.
Il primo provvedimento è uno schema per un decreto legislativo che non solo cancelli definitivamente il reintegro in caso di licenziamento ingiusto salvo che per licenziamento apertamente discriminatorio (notoriamente chi discrimina lo dichiara apertamente!), ma mette dei tetti molto bassi per i risarcimenti sia nei rari casi di reintegro (un massimo di 12 mensilità che diventano 6 per le aziende sotto i 16 dipendenti, a fronte di cause che possono durare anni) sia negli altri casi di licenziamento ingiusto (2 mensilità senza contributi per anno di lavoro, ma non oltre 24 mensilità) che nei casi di conciliazione (una mensilità non tassabile per anno di servizio, ma non oltre 18 mensilità).
Una netta regressione rispetto alle norme in atto, che per ora sarà applicata solo ai nuovi assunti e solo al settore privato: la tecnica del divide et impera resta la preferita, per i dipendenti dello stato e per quelli già a tempo indeterminato l’appuntamento è rimandato. Solo rimandato.
Il secondo è un decreto che modifica il sistema degli assegni di disoccupazione, col varo della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) in sostituzione della “vecchia” ASpI varata con la legge Fornero.
La tanto sbandierata riforma degli ammortizzatori sociali che avrebbe dovuto garantire un’entrata a tutti i disoccupati è invece riservata solo a chi ha versato un minimo di contributi (quindi ne è escluso chi entra nel mondo del lavoro e chi è disoccupato da molto tempo), è pari al 75% dell’ultimo stipendio ricevuto se esso non supera i 1195 euro (per i primi 4 mesi, poi decresce del 3% al mese) e non può durare oltre 78 settimane. Tutto questo, ricordiamo, dopo che col varo dell’ASpI era stata già cancellata l’indennità di mobilità.
Da maggio entra in vigore in via sperimentale l’ASsegno di DIsoccupazione (ASDI), riservato a chi ha esaurito il periodo di fruizione della NASpI, con priorità per i lavoratori vicini alla pensione o con figli minorenni, ma comunque per un massimo di sei mesi e in ogni caso SE CI SONO LE COPERTURE! Ad oggi per il 2015 sono stanziati solo 300 milioni.
L’importo previsto è pari al 75% dell’ultima erogazione NASpI, quindi per uno stipendio iniziale di 1000 euro, dopo 78 settimane, si arriverebbe un’ultima NASpI di circa 490 euro, e chi nel frattempo non è morto di fame, potrebbe essere tanto “fortunato” da recepire un assegno mensile di 367 euro, sempre se ci saranno i soldi a bilancio.
Per i disoccupati ex Co.Co.Co. e Co.Co.Pro. permane un regime separato, altro che fine delle discriminazioni. Chi ha almeno tre mesi di contribuzione dall’anno solare precedente alla disoccupazione e un mese nell’anno in corso, può usufruire dell’indennità DIS-COLL, pari al 75% dell’ultima retribuzione se questa non è superiore a 1195 euro (dopo 4 mesi decresce del 3% mensile) e per non oltre la metà del periodo di contribuzione degli ultimi 4 anni, comunque per un massimo di sei mesi (contro i 18 della NASpI). Cessata la fruizione della DIS-COLL, non è previsto accesso all’ASDI.
Il premier Matteo Renzi va fiero di quest’opera, e al danno aggiunge la beffa: una delle sue solite frasi ad effetto è “Nessuno avrà più alibi per non investire in Italia”, una smargiassata che suona grottesca dopo una legge fatta su misura per i capitalisti. Per la cronaca, la maggiore precarietà non fa aumentare i clienti e non garantisce un maggiore accesso al credito. Le assunzioni si fanno se le aziende hanno bisogno di manodopera, non se questa è più economica o flessibile; è una cosa che sanno bene i lavoratori precari: per mesi o per anni si sentono ripetere che non ci sono le condizioni per stabilizzarli, ma quando trovano un altro posto di lavoro magicamente le condizioni si creano.
Questi provvedimenti legislativi sono il frutto di una debolezza della classe lavoratrice, debolezza causata innanzitutto da anni di pace sociale promossa dai sindacati concertativi e ora aumentata dalla crisi economica in atto che rende i lavoratori ulteriormente ricattabili; debolezza che consente ai politici borghesi di fare l’affondo per smantellare le conquiste ottenute con le lotte passate colpendo settori della classe sempre più ampi, per estendere ed aumentare il più possibile la precarietà e lo sfruttamento.
Per spezzare questo circolo vizioso è inutile inseguire ipotesi di nuovi partiti “più di sinistra”; serve una lotta che contrasti la tecnica del “divide et impera” e unifichi gli sfruttati.

18.12.14

Anonimi militanti

 
"La Rivoluzione non ha bisogno nè di eroi nè di martiri ma di anonomi militanti"
                                                                                                                               Lenin

Gli scioperi in Belgio sono di esempio per tutti i lavoratori europei

Lunedì 15 dicembre sarà la data culmine di un lungo periodo di scioperi e agitazioni che scuotono il Belgio dall’estate
Il nodo attuale sono le misure decise, su pressione europea, dal governo Michel (nota 1), insediatosi dopo quattro mesi di trattative nell’ottobre 2014: 11 miliardi di € di risparmi sul bilancio in 5 anni, l’aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, tagli alla sanità, tagli salariali (riduzione dell’aggancio dei salari all’inflazione con un risparmio di circa 3 miliardi di € e una perdita pro capite per ciascun lavoratore di 340 € all’anno), taglio degli assegni sociali e di disoccupazione, riduzione del diritto di sciopero.
L’argomentazione principale dei sindacati, che hanno realizzato un fronte unitario di azione, è che tutti i tagli riguardano i lavoratori, che sono fra l’altro i più tassati d’Europa, mentre le rendite finanziarie e immobiliari sono esenti
A onor del vero Michel prosegue sulla linea di austerity impostata dal precedente governo di Elio Di Rupo nel triennio 2011-14. Quello che ha fatto la differenza è che i socialisti, esclusi dal governo per la prima volta da 26 anni, hanno spinto le burocrazie sindacali, prima assai tiepide e conciliatorie, a prendere la guida della protesta operai, anche perché rischiava di sfuggire loro di mano. Le lotte infatti hanno sorpreso i burocrati sindacali per estensione e durezza (La Libre 8 novembre). Se il nuovo governo vira a destra, alle elezioni il PTB+ (una coalizione di Partito dei lavoratori del Belgio, Partito Comunista belga e Lega Comunista rivoluzionaria) ha superato lo sbarramento del 5%. Questo a ridato energia a frange sindacali indipendenti e radicali che hanno costretto i sindacati tradizionali a impostare una serie di scioperi coordinati da un fronte unitario (a cui aderiscono SCS , FGTB Federazione generale dei lavoratori belgi, FGSLB ecc). I burocrati di lungo corso stanno in realtà trattando col governo lontano dalle luci della ribalta, ma intanto hanno avallato le lotte.
A fronte dei lavoratori che vedono peggiorare le loro condizioni sta una classe dirigente di grandi ricchi (il Belgio paese di antica industrializzazione e di capitalismo maturo presenta una concentrazione della ricchezza, in particolare finanziaria notevole) e una classe politica disgregata e incapace di trovare formule di governo stabili (fra il 2010 e il 2011 il paese restò senza esecutivo per 18 mesi). Quindi un paese in continua crisi di squilibrio caratterizzato da successo economico e inefficacia della rappresentanza politica, spaccato in due dall’eredità storica (la metà olandese e la metà francese, fiamminghi contro valloni), che deve fare i conti con una immigrazione consistente dall’Africa e dai paesi arabi . Ospitando nella sua capitale le principali istituzioni europee, i lavoratori trovano facilmente modo di unire la contestazione del proprio governo alla contestazione dei burocrati europei.
E se il partito vittorioso alle ultime elezioni (33% dei voti), NVA (Nuova Alleanza Fiamminga) è parzialmente euroscettico, la maggior parte dei fiamminghi vagheggia un secessionismo più o meno radicale, con annesso taglio delle spese sociali e un indurimento delle politiche anti-immigrazione (l’NVA ha espresso l’obesa leader De Block responsabile di 13 mila immigrati arrestati nei primi sei mesi del 2013; record di richiedenti asilo respinti in patria che poi sono stati uccisi, brutalità della polizia contro gli immigrati). Insomma l’NVA è una versione belga del leghismo nostrano, ma con un peso economico ed elettorale di ben altra consistenza (i fiamminghi sono il 58% della popolazione, che si attesta sui 10,6 milioni).
Le proteste sindacali sono iniziate a partire dal 2012 nell’area vallona, il sud un tempo centro di un impero minerario siderurgico, travolto negli anni ’60 dalla ristrutturazione internazionale e quindi oggi povero e “assistenzialista”, dove cioè il taglio del welfare colpisce strati ampi di lavoratori e pensionati impoveriti. Pian piano si sono estese al nord, ricco e produttivo, dove però si comincia a scontare la chiusura di alcune fabbriche, una parziale crisi del porto di Anversa, i tagli pesanti nelle ferrovie .
Come la politica così anche le azioni sindacali sono pesantemente condizionate dalla doppia anima linguistica del paese.
Sono stati i ferrovieri per primi a rompere lo schema, su iniziativa della CGSP, e a impostare scioperi in tutto il territorio nazionale paralizzando il paese fra giugno e luglio, forti di una tradizione organizzativa e rivendicativa di tutto rispetto. Ma anche nel loro caso mentre in Vallonia e a Bruxelles non ha viaggiato alcun treno, nelle Fiandre era operativo un treno su tre; tuttavia il danno inflitto agli Eurostar e al gestore internazionale Thalys è stato notevole. La protesta riguarda la “riforma” ferroviaria cioè la netta separazione del gestore dell’infrastruttura (pubblico) dall’operatore (privatizzato) con creazione di rami indipendenti (logistica, trasporto merci, passeggeri, controllo informatico), che ha comportato tagli del personale, espansione dei contratti a termine o stipulati tramite cooperative, l’apparto di certi servizi. Peccato che la loro lotta non sia stata collegata a quella dei ferrovieri tedeschi, francesi e svedesi che sono state quasi contemporanee.
L’atmosfera si è scaldata in ottobre con una serie di scioperi regionali fra il 16 e il 24 ottobre: i manifestanti avevano bloccato l’attività del porto di Anversa, chiuse scuole, uffici, supermercati.
Il 6 novembre concentrazione di operai a Bruxelles (circa 150 mila), la più importante dagli scioperi del 1960-61, con presenza di delegazioni dal settore chimico farmaceutico, trasporti, porti, acciaio, aerospaziale (con massa d’urto rappresentata da portuali e siderurgici). Importante il superamento degli steccati linguistici. Presenza anche di studenti e centri sociali. La manifestazione è punteggiata da scontri di piazza, vengono caricati dalla polizia i portuali di Anversa (molti feriti, trenta arresti). Gruppi neo nazisti attaccano fisicamente il Partito Socialista, francofono, che ha messo il cappello politico alla manifestazione
I giornalisti notano nei cortei la presenza di n numerosi giovani, arrabbiatissimi, provenienti da Liegi, dove molte fabbriche fra cui la Mittal hanno chiuso e pronti allo scontro fisico c0n la polizia; sono loro che hanno occupato la sede di Confindustria a Bruxelles e bloccato la circonvallazione esterna della capitale.
Il 24 novembre sciopero “regionale” a Anversa, Hainault, Limburgo e Lussemurgo che riesce perfettamente corredato da picchetti, riguardanti circa 400 luoghi di lavoro con più di 100 dipendenti, blocchi stradali, cortei. Viene bloccata tutta la produzione delle industrie hi-tech. Bloccato l’aeroporto di Charleroi,. Fermi tutti gli autobus e i treni, i centri commerciali, banche , scuole, ospedali. Scioperano anche i netturbini e i giudici.
L’8 dicembre in coincidenza della riunione dell’Eurogruppo, Bruxelles è paralizzata. Incide soprattutto lo sciopero dei trasporti (autobus, treni e metropolitane e l’aeroporto di Zaventem). I ferrovieri bloccano l’intero paese e anche i collegamenti delle principali città (Anversa, Namur, Liegi) con il resto d’Europa. Picchetti sbarrano l’entrata di più di 300 imprese nel Brabante, sia fiammingo che vallone (nota 1). Bloccati i corrieri privati; blocchi stradali sulle arterie di collegamento extraurbano. Bloccate le lezioni in tutti gli ordini di scuola. Picchetti anche davanti ai supermercati (Le Soir 9 dicembre). Ai cortei partecipano gli universitari, gli attori dei teatri, ma anche le piccole officine. Sono stati diffusi 1, 2 milioni di volantini
Questa breve rassegna degli avvenimenti ci permette di verificare le somiglianze con la situazione italiana (là la polizia picchia i portuali, qui i metalmeccanici, simile la ristrutturazione delle ferrovie, simili gli obiettivi iugulatori hesie). La grossa differenza è che tutto quello che i lavoratori belgi stanno per perdere (welfare, contingenza, contratti a tempo indeterminato ecc), gli italiani l’hanno perso molti anni fa (salvo forse l’età pensionabile)
In conclusione c’è un’aria di famiglia nei comportamenti delle borghesie europee, ma certamente i lavoratori belgi hanno combattuto meglio le loro battaglie di difesa e hanno, per loro fortuna, ancora molto da perdere e stanno ancora combattendo con grande vigore, così come hanno fatto i lavoratori greci prima di loro. E con le loro lotte mandano un forte segnale ai lavoratori italiani.
1) Il governo di Michel, un liberalista francofono che guida il MR (Movimento di Riforma) comprende i principali partiti fiamminghi di destra fra cui NVA (Nuova Alleanza fiamminga), che grazie al 33% dei voti ha ottenuto i ministeri più importanti (le finanze, gli interni, la difesa e la funzione pubblica), CD&V (Partito cristiano democratico fiammingo) e Open VLD (Partito dei Liberali Democratici Fiamminghi Aperti).