18.7.13

Wu Ming: è proprio quest'acqua qua!

 
Nell’invettiva scagliata ieri da Wu Ming contro «il Partito cosiddetto democratico», dalla quale si possono ricavare interessanti elementi di valutazione circa il rapporto (di odio/amore?) che lega il noto «collettivo di scrittori italiani» alla cosiddetta sinistra italiana, si può leggere, tra l’altro, quanto segue: sul razzismo «la Lega lombarda prima e la Lega nord poi hanno costruito un intero percorso politico […] Il razzismo è da secoli un modo di pensare funzionale al mantenimento di un sistema di sfruttamento e discriminazione» (Il partito del non senso, Internazionale, 15 luglio 2013). In poche parole, nell’articolo in questione Wu Ming, prendendo spunto dall’ultima battuta razzista di Calderoli sulla ministra Cécile Kyenge, rinfaccia al PD (e soprattutto all’ex segretario Bersani) un atteggiamento quantomeno contraddittorio nei confronti dei leghisti, dai “democratici” disprezzati o blanditi secondo le mutevoli convenienze politiche. I «sedicenti democratici potrebbero almeno risparmiarci lo spettacolo ipocrita della loro chiassosa indignazione per le battute dei razzisti che fino a ieri consideravano buoni interlocutori». Che indignazione!
Com’è noto, già Massimo D’Alema parlò del movimento capeggiato da Bossi come di «una costola della sinistra». Era il tempo in cui si consumava la congiura ai danni del primo governo Berlusconi. Anche allora molti sinistri si scandalizzarono, ma alla fine abbozzarono e, togliattianamente, si acconciarono a baciare il rospo Lamberto Dini secondo le direttive calate dalla Segreteria. Anche allora parecchi “comunisti” tirarono fuori la tattica del Presidente Mao sul «nemico principale», che dal 1994 si chiama, come sanno tutti, Berlusconi. Stranamente Wu Ming non ricorda quell’illuminante episodio, e concentra il suo fuoco sulla croce rossa, ossia su Bersani e compagni.
Vale la pena ricordare l’episodio del ’95, in seguito negato, o quantomeno reinterpretato, dal protagonista: «Nell’intervista al Manifesto D’Alema esprime un’altra convinzione a proposito di una forza politica che può essere “collegata” alla sinistra: “La Lega c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a che vedere con un blocco organico di destra”» (La Repubblica, 1 novembre 1995). Qui baffino mostrava di saperla più lunga, in materia di analisi politico-sociologica, di molti intellettuali schizzinosi appartenenti al suo stesso campo politico, i quali erano – e sono – avvezzi a pestare il mortaio pieno di schiuma, col risultato di creare una gigantesca poltiglia che impedisce loro di capire l’essenza dei problemi politici e sociali.
 Detto che ridurre la Lega Nord a mero fenomeno politico-culturale razzista, secondo una ben consolidata vulgata progressista, è semplicemente risibile sul piano storico e sociale, perché in tal modo si sorvola a piè pari sulle macroscopiche cause sociali (a cominciare dal gap sistemico Nord-Sud) che hanno reso possibile il suo «percorso politico»; detto questo si può tuttavia convenire sul fatto che nel Bel Paese esiste «un sistema si sfruttamento e discriminazione». Ma allora, se le cose stanno così perché prendersela con un onesto partito borghese che cerca di fare al meglio (poi bisogna vedere con quali risultati, è chiaro) il proprio escrementizio lavoro al servizio delle classi dominanti del Paese? Può forse il PD anche solo lontanamente immaginare di assestare un seppur timido colpetto a quel «sistema»? Siamo seri! Mi correggo: siamo anticapitalisti! E soprattutto: di che «sistema» stiamo parlando? La mia testolina proletaria mi invita a “declinare” quella ambigua parola in un modo quanto mai semplice: trattasi del sistema capitalistico. Punto. Lo ammetto, si tratta di un punto di vista indigente sul piano della dialettica, e per questo m’impegno fin d’ora in una full immersion negli scritti del collettivo benicomunista.Per quanto le apparenze possano far pensare il contrario, il mio delirio estivo non ha di mira i raffinati intellettuali di Wu Ming, i quali fanno la loro onesta battaglia politica tesa a costruire un dignitoso (laico, antirazzista, antiliberista, antiberlusconiano, forse persino socialdemocratico) partito “de sinistra” in Italia. Essi ritengono «i sedicenti democratici il principale ostacolo politico alla rinascita di una sinistra che possa dirsi tale», e si comportano di conseguenza nei confronti di un partito che considerano «del non senso». Auguri!
 A proposito di «partito del non senso», mi è tornato alla mente  quanto ebbe a dire una volta l’onesto Enrico a proposito del PCI: si tratta di un partito «insieme rivoluzionario e conservatore». Era il tempo in cui in Italia persino alle parallele veniva concessa la possibilità di «convergere» nella contingenza e non all’infinito. Naturalmente in vista di «punti d’equilibrio politici, sociali e istituzionali più avanzati». Com’era cristallino il linguaggio politico della «Prima Repubblica»! Ed era altresì il tempo in cui il PCI e il suo sindacato di riferimento imponevano ai lavoratori una rigida politica dei sacrifici e si ponevano come avanguardia della repressione poliziesca ai danni di chi non ne voleva sapere del «bene superiore del Paese». Ogni tanto è giusto ricordare queste cose a chi affetta pose nostalgiche circa «la sinistra di una volta». Mutatis mutandis, da Togliatti a Occhetto «è quest’acqua qua».
«Forse, se invece di lanciarsi in opportunistici non sensi logici da furbini del deserto, i sedicenti democratici avessero combattuto i razzisti dall’inizio e senza quartiere, oggi non ce li ritroveremmo bel belli dentro le istituzioni [razzisti e opportunisti, giù le mani dalle nostre amate istituzioni!]. Ma il punto è che non potevano farlo, perché quando si dismette il piano della battaglia per l’affermazione dei diritti e delle istanze sociali [già, le "istanze sociali"!], e ci si dedica anima e corpo alla gestione dello status quo, tocca poi gestirlo con chi c’è. “È quest’acqua qua”, direbbe Crozza/Bersani. Acqua putrida, di fogna, in cui si cerca di varare una nave, o piuttosto una zattera, per stare a galla, invece di costruire un depuratore». Ma si sta parlando della «Seconda Repubblica» o del Capitalismo nudo e crudo? Scherzo ancora, è chiaro.
Mentre i veri democratici e gli autentici progressisti progettano un bel depuratore, secondo una metafora che peraltro fa molto green economy, io mi concedo il lusso di baloccarmi con l’utopia della rivoluzione sociale, e do il mio microscopico contributo affinché «i movimenti sociali che cercano di opporsi all’avanzata del peggio», e che per questo «vengono manganellati e repressi» (dallo Stato democratico nato dalla resistenza), possano quanto prima liberarsi dalla catena ideologica del “bene comune”, comunque declinato (da “destra”, da “sinistra”, da “papista”). Infatti, per me l’acqua del Capitalismo (altrimenti chiamato Paese) è sempre putrida e merdosa, a prescindere dal colore politico e dai principi etici di chi pro tempore ci amministra. Il Capitalismo, per me, «è quest’acqua qua». Sempre e comunque.

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